Yeso Tang

facile dire che non abbiamo nessun problema
e allora perchè sono andato nel deserto?
perché sono dovuto andare nel mare?
perché sono stato incarcerato?
perché mi chiamano straniero?

Lo spettacolo racconta di un ragazzo africano pronto a tutto pur di salvare la sua famiglia, scappando e reagendo con ironia ad una condizione che lo vorrebbe schiacciato dalla povertà, dall’ignoranza e dal razzismo globale.

A dargli coraggio, un anello appartenuto per generazioni ai suoi cari, con un grosso castone in cui sono conservati i principi da cui la sua famiglia si è generata.

Il racconto biografico si mischia al racconto magico, per avvicinare il pubblico ad una realtà differente, alla condizione di tanti adolescenti che abbandonano i propri luoghi di origine e le proprie famiglie e per affermare il diritto alla felicità ed al miglioramento della propria vita.

  • scritto e diretto da Andrea Santantonio
  • con Ali Sohna
  • luci Joseph Geoffriau e Franck Jerry Tchagou
  • genere teatro d’attore
  • 40 minuti

“Alì non ha gli occhi azzurri. Ma scuri. Scuri come il mare di notte. Quel mare che ha attraversato insieme ad altri cento, e che ha inghiottito parte della sua famiglia. Alì non ha gli occhi azzurri, ma scuri. Scuri come quelli di sua madre, cha ha lasciato sui confini di un deserto africano con l’unica eredità di una storia, una storia da raccontare. E Alì Sohna […] la racconta, con il fare di un attore occidentale, l’esuberanza e un pizzico di esibizionismo anche, ma con quegli occhi scuri che nello scuro della notte sembrano fari proiettati sugli spettatori. Veri, mai disadorni, mai attorniati da commozione. Ne rende partecipe, ne dà accesso, fa materia d’arte una parola dalle maglie larghe, drammaturgicamente parlando, dal plot non lineare, ma dalla potenza unica. Dalla eco universale, drammatizzata quel che basta da risuonare forte. Per la rupe e per i sassi. Per i corpi e le coscienze scossi di chi sta dall’altra parte. Sulle idiozie e le bassezze dei nuovi razzismi. La partenza, l’abbandono, la barca, il mare, la morte. Quaranta minuti che scivolano senza badare a tecnicismi o partiture, modulazioni o suoni, nuove drammaturgie e definizioni da intellettuali. Parola e stomaco. Scena ed emozione. Relazione. Contatto. Lo stupore. Il teatro. “

Emilio Nigro su sito teatrale “Pane acqua culture”